Perché siti archeologici e musei fanno ancora pochi podcast?
Quali sono le potenzialità dei podcast per siti e musei? Chi conserva e cura le collezioni sceglie questo medium per divulgare? Ne ho parlato con Barbara Landi di ICOM Italia
Da qualche tempo, i podcast stanno entrando timidamente anche nei musei, per raccontare collezioni, opere, ma anche professioni, professionisti e professioniste della cultura. Ho fatto cenno all’argomento in una delle newsletter precedenti. Si tratta di un tema a cui tengo moltissimo, anche perché musei e siti archeologici sono tra i soggetti che maggiormente potrebbero beneficiare di questo strumento per divulgare storie, oggetti e collezioni.
Il prodotto podcast, però, non rientra ancora appieno nella strategia di comunicazione di queste istituzioni, in particolare dei musei più piccoli e meno noti sparsi sul territorio. Ma perché? Qual è oggi la sensibilità di direttori e curatori verso questo strumento, ma anche verso la professione del podcaster? Ne ho parlato con un’amica divoratrice di podcast, Barbara Landi, Project Manager della Segreteria di ICOM Italia da tempo impegnata nella formazione per manager culturali. In questo impegno formativo potremmo dire rientri anche un esperimento svolto nel 2020, intitolato Tracciamo la rotta - orientarsi tra le nuove costellazioni definite dalla pandemia. L’obiettivo era invitare istituzioni e professionisti della cultura a soffermarsi sulle chiusure dei musei imposte durante il lockdown attraverso un contributo audio della durata di 15 minuti al massimo. “Si è trattato di una sorta di debriefing, per fermarsi, capire cosa ha funzionato e cosa no. E poi è stato un esperimento molto importante per ragionare sul mezzo mezzo podcast e su quale potesse essere il vantaggio per un museo il suo utilizzo”.
Secondo Landi, oggi l’attenzione verso il mezzo è crescente. Mi cita in proposito l’incontro che si è svolto online a maggio 2022, “Il sonoro nei musei”, dove Galleria Borghese ha presentato il proprio logo sound e dove Palazzo Grassi di Venezia ha presentato il proprio podcast dedicato alla vita e all’opera dell’artista Marlene Dumas.
In generale, “uno degli ostacoli maggiori è far capire ai musei che il podcast è un prodotto professionale”, mi spiega Barbara. “E il prodotto professionale richiede dei professionisti che debbono avere il loro lavoro riconosciuto e quindi hanno un costo. Credo che questo sia l'elemento cardine su cui ancora i musei devono riflettere”. Secondo Landi, “dobbiamo considerare il podcast a tutti gli effetti uno degli elementi del marketing mix, anche se i nostri amici dei musei non amano usare i termini aziendali. Per fette di pubblico particolari, possiamo realizzare prodotti veramente interessanti, che potrebbero raggiungere target specifici come non farebbe nessun'altra leva”.
Come “far digerire” ai musei i costi del podcast?
Quello dei costi, però, non è un problema da poco. Oggi, nel 2022, è ancora difficile far comprendere la professionalità di figure come i social media manager, ormai onnipresenti nei musei e indispensabili per la realizzazione dei contenuti della struttura. Con queste premesse, come far capire il valore di un podcaster professionista? Non c’è il rischio di approcciarsi al mezzo in maniera troppo artigianale? Secondo Landi, “fare bene in casa non è da escludere, c'è sempre l'opzione di una formazione specifica di un interno. Però dobbiamo sempre capire noi dove vogliamo arrivare. Per un'azienda è molto più facile ragionare per obiettivi e per strategie che funzionano per quegli obiettivi. Per il museo forse c'è ancora un po' di reticenza, non si ha voglia di parlare di soldi e di impegno economico. Far capire che quei costi sono giustificati è il primo passo. Il secondo è capire cosa ci porta in cambio. A volte capita di realizzare dei prodotti che vengono messi sul sito web dell'istituzione, sono stati promossi dai canali digitali, magari sono sulle piattaforme dedicate, però non si considera il loro ciclo di vita, che è molto lungo. Questo vale soprattutto per un museo che magari ha realizzato quel podcast per la sua collezione permanente e non per una mostra temporanea. Il ciclo di vita di questo prodotto è qualcosa che non è ancora ben chiaro per i musei: comprendere questo potrebbe far cambiare loro la percezione dell'investimento”.
Chi sembra aver compreso le potenzialità dell’investimento è il Ministero della Cultura, che ha finanziato i due podcast Chora In buone mani e Paladine. Non potevo non domandare a Barbara quale fosse la sua opinione e se davvero, per narrare i musei o le opere, sia necessario ricorrere ai grandi nomi. Mi risponde che non è “contraria a priori all’uso di personaggi noti e pop in ambito museale, ma va capito l’obiettivo e quale persona possa effettivamente contribuire a raggiungerlo e come. In ambito podcast ti direi che in generale non mi pare opportuno: il podcast avvicina, mentre il personaggio può creare distanza se non è capace di calarsi / farsi calare nel contesto e inoltre si rischia di spostare l’attenzione su di sé, invece che sul contenuto. Anche nel caso della voce narrante, temo – ma un parere da utente, non professionale – che possa rubare una parte di concentrazione”.
Opportunità per divulgare l’archeologia
E mantenere l’attenzione su un tema come l’archeologia non è scontato. Non lo è quando si parla di grandi reperti e grandi musei, figuriamoci se si cerca di narrare il museo o il sito piccolo e sconosciuto. Eppure, raccontare queste realtà - anche attraverso i podcast - potrebbe avere un impatto rilevantissimo sulle comunità. Così chiedo a Barbara cosa pensa, se la ritiene un’operazione ‘difficile’. “L'archeologia è racconto per eccellenza, quindi a mio avviso da un certo punto di vista è un’operazione più facile. È chiaro però che i contesti siano diversi. Il piccolo museo che magari ha ancora un allestimento datato ha disponibilità diverse rispetto al grande museo, che con il podcast può raggiungere risultati molto più rilevanti. Però, anche in questo caso, il podcast può dare uno sguardo diverso sul museo. Certo non da solo, è sempre parte di un progetto più ampio di promozione dell’istituzione. L'archeologia secondo me si presta tantissimo, è fatta di tantissime storie piccole che possono essere raccontate in modi diversi, per pubblici diversi e obiettivi diversi. Con il mood giusto, i podcast possono far respirare l'anima del museo”. E, aggiungo io, possono rivelarsi un ottimo supporto alla didattica, per bambini e adulti, contribuendo a creare consapevolezza e attaccamento ai beni del territorio.
Come sempre, non potevo che terminare la conversazione con Barbara facendomi raccontare un segreto che riguarda il suo rapporto con i podcast. Ascoltalo qui.
Da ascoltare
Ti suggerisco “Vero ma non verissimo”, uno dei podcast emergenti segnalati dal Festival del podcasting di quest’anno. Si può definire un podcast fiction: ogni puntata è un monologo o un dialogo tra personaggi storici che raccontano le proprie verità, i propri segreti, le proprie curiosità. Obiettivo è fare luce in maniera decisamente non convenzionale su fatti nascosti e storie dei grandi personaggi che hanno cambiato il mondo.
Il progetto, molto coinvolgente, nasce dall’idea e dalla penna di Marco Bertani, scrittore, autore, regista, videomaker e podcaster, che interpreta anche alcune puntate. Alla sua voce si aggiungono anche quelle di Siddartha Prestinari e Fabio Avaro.
Se non ami tutto ciò che è didascalico e preferisci imparare la storia attraverso i racconti, questo podcast fa per te.
Ti ricordo, se non l’hai ancora fatto, di partecipare alla ricerca sui podcast per la divulgazione dell’archeologia.