Per raccontare musei e professioni museali e farsi ascoltare, è necessario usare i "grandi nomi"?
Mia Ceran. Serena Dandini. Francesco Costa. Sono solo alcuni dei "nomi" che hanno prestato la propria voce per raccontare mostre e professioni della cultura. È l'unico modo per avere ascolti?
So che ti avevo detto che la newsletter è mensile e il prossimo numero è previsto tra un paio di settimane, quindi probabilmente non ti aspettavi questo intermezzo. Eppure, l’uscita di uno degli ultimi podcast di Chora mi stimola alcune riflessioni.
Il podcast a cui mi riferisco è In buone mani realizzato dalla Direzione Musei del Ministero della Cultura e dedicato alle donne che difendono, tutelano e curano il nostro patrimonio culturale. La premessa da cui parte il podcast, che sarà composto da otto puntate, è che il 70 per cento del personale impiegato nei beni culturali è donna, quindi è importante e necessario raccontare il loro lavoro appunto di tutela, conservazione e restauro, a partire da alcune delle opere più note dell’antichità. La prima puntata, infatti, è incentrata sul ritrovamento e sul restauro di due delle sculture greche più note e apprezzate: i Bronzi di Riace.
La puntata è stata scritta da Michela Guberti, autrice di diversi programmi per Rai Storia, ma la voce è di Mia Ceran, giornalista, conduttrice televisiva e host dal 2020 del podcast The Essential, il notiziario quotidiano targato Will Media.
Questo episodio dura una trentina di minuti, alternando la voce della narratrice con spezzoni di interviste a Elena Lattanzi e Simonetta Bonomi, soprintendenti della Calabria rispettivamente negli anni 1981-2005 e 2009-2015, e a Giovanna de Palma, restauratrice dell’Istituto Centrale del Restauro di Roma.
Chora, ormai, si è imposta come colosso dei podcast e a ragione, quindi il prodotto è ottimo sotto tutti i punti di vista. Così come è ottimo il suo “fratello maggiore” - chiamiamolo così, ma solo perché è uscito qualche mese fa.
Sto parlando di Paladine, anche in questo caso una serie in otto puntate prodotte per la Direzione Musei del Mic, e la premessa è praticamente la stessa di In buone mani: sono moltissime le donne che hanno ricoperto ruoli fondamentali nella conservazione e tutela del nostro patrimonio culturale, bisogna fare uscire dall'invisibilità storica a cui sono relegate.
La principale differenza col podcast speakerato da Ceran è che stavolta non vengono raccontate le singole opere ma le biografie delle protagoniste della cura del nostro patrimonio. La voce narrante è di Serena Dandini, autrice, scrittrice e conduttrice televisiva che non dovrebbe avere bisogno di presentazioni, ma i testi narrativi di raccordo sono stati scritti da Francesca Borghetti, autrice e regista Rai, e dalla già citata Michela Guberti.
Qualche riflessione sui due podcast di Chora
I due podcast sono tecnicamente perfetti, piacevoli, interessanti. Io li ho divorati, letteralmente. Quali possono essere queste riflessioni, allora?
La prima: ma perché quando si parla di musei e soprattutto quando si parla di archeologia e passato si ha la convinzione che per farsi ascoltare si debba per forza associare il grande nome al grande reperto? Questo avviene soprattutto nel podcast In buone mani. Attenzione, non sto dicendo che sia una scelta strategica sbagliata o deprecabile. È fatta per catturare l’attenzione, è appunto una strategia. Sto solo prendendo atto che, per parlare di musei, ancora una volta, si considerano necessari ganci molto, molto forti per superare la possibile ostilità del pubblico: una voce conosciuta e riconoscibilissima, ovvero quella di Mia Ceran, e reperti ben presenti nella memoria e nell’immaginario di tutti, ma proprio tutti, ovvero in questo caso i Bronzi di Riace. Ma davvero per raccontare il passato (e la tematica di genere legata alle professioni del passato) non possiamo fare a meno di questo binomio? E poi: tutto il resto dell’enorme patrimonio culturale diffuso italiano non ha scampo ed è perennemente destinato al dimenticatoio in un loop senza fine perché altrimenti “non si fanno ascolti”?
La seconda: perché “usare” due giornaliste, autrici e conduttrici solo per la loro voce? Dandini e Ceran, qui, non hanno davvero il ruolo di narratrici, ma di speaker. Sono come due doppiatrici, ma famose perché le abbiamo viste in TV. Anche in questo caso non dico sia una scelta deprecabile, anzi è sicuramente un’ottima strategia! Loro sono arcinote. La voce di entrambe è riconoscibile e particolare. Ma - come posso dire - sono molto di più. Hanno personalità e hanno sicuramente un punto di vista sul nostro patrimonio culturale. Ma qual è? E tu dirai “Sì vabbè, ma anche in TV ci sono autrici e autori, che differenza fa?”.
Nell’ambito dei podcast, secondo me, un po’ di differenza la fa. Il racconto a voce non è mai solo maniera. E se ti prendi la briga di chiamare “il grande nome” allora, a mio avviso, la cosa interessante è sentire cosa ha da dire. Altrimenti per i testi - ottimi - potrebbe essere chiamato uno speaker qualunque, con lo stesso effetto...
O forse no? O forse, nonostante la premessa di entrambi i podcast sia molto, molto forte, non basta da sola a suscitare interesse sulle professioni legate ai beni culturali?
La scelta della Triennale
L’ultimo podcast museale che ti propongo, ovvero Saul Steinberg. Scrivere senza parole, è invece il risultato di una scelta diversa, anche se a onor del vero qui si parla di arte e non di passato, beni culturali e archeologia.
Prodotto per la mostra Saul Steinberg Milano New York allestita alla Triennale di Milano dal 15 ottobre 2021 al 1 maggio 2022, il podcast è scritto e speakerato da Francesco Costa, vicedirettore de Il Post e autore di Morning. Anche in questo caso si sfrutta il grande nome, che però è anche autore del racconto.
Mi piace l’idea che non sia solo una voce famosa in prestito per la storia, ma che dia il proprio punto di vista. Forse, però, la biografia di Steinberg sarebbe stata considerata “interessante a prescindere”, mentre quella di archeologhe e curatrici museali no, ed è per questo che è stato necessario un “rinforzo”.
Mi domando, però: al netto della piacevolezza dei due podcast di Chora, il tipo di scelta descritta fa bene o fa male alle professioniste della cultura? Fa bene o fa male ai beni culturali del paese? Fa bene o fa male all’idea che si ha di patrimonio culturale e archeologico?
Io non ho una risposta. Se vuoi, raccontami la tua opinione nei commenti!