Archeologia e propaganda sionista - approfondimento. Link, consigli di ascolto e di lettura
Qui trovi la trascrizione dell'intervista a Sara Corona Demurtas, report da scaricare e altri podcast per approfondire il tema
Da quando è iniziato il genocidio a Gaza, perché di genocidio si tratta, mi sono chiesta cosa potessi ragionevolmente fare o scrivere per “fare la differenza”. Faccio la giornalista, sì, ma sono prima di tutto un’archeologa. Che taglio dare al mio ragionamento? Come parlare in maniera adeguata di questo tema?
Poi - anche grazie a una preziosa segnalazione - ho incrociato sulla mia strada Sara Corona Demurtas, autrice del podcast divulgativo per Rai Play sound Archeopop - del suo podcast avremo modo di parlare più avanti - ed esperta di uso politico del patrimonio culturale.
Nel podcast che abbiamo registrato insieme e che ho pubblicato proprio prima di Natale abbiamo discusso proprio di questo tema.
Parlare con lei è stato molto utile per rispondere sostanzialmente a due domande.
Perché nel mondo occidentale accademici e accademiche, intellettuali, giornalisti e giornaliste, persone di alto profilo culturale hanno introiettato e fatto proprie le narrazioni della propaganda sionista?
E cosa c’entra l’archeologia in tutto questo, che ruolo ha?
Sionismo: ideologia politica il cui fine è l'affermazione del diritto alla autodeterminazione del popolo ebraico e il supporto a uno Stato ebraico in quella che è definita "Terra di Israele".
So che non tutti quelli che seguono questa newsletter ascoltano i podcast con le versioni integrali delle interviste. Così ho deciso di riassumere qui quello che ci siamo dette, fornendo anche i link per approfondire i temi emersi nell’intervista.
Una premessa
La premessa per rispondere a queste due domande formulate è la seguente: l’archeologia ha sempre ruolo politico, “perché comunque con politica intendiamo lo ‘stare insieme in comunità’. Quindi il patrimonio culturale ha una valenza politica dato che noi come esseri umani abbiamo questa tendenza a guardare al passato per spiegare chi siamo nel presente e dove stiamo andando”. E poiché i dati sono soggetti a interpretazione e non sono mai puramente oggettivi, bisogna riconoscere, secondo Corona Demurtas che, “l’archeologia ha un valore, un significato sociale e politico perché produce una narrazione. Proprio perché l'archeologia ha questo valore socio politico allora può essere – e spesso è - usata in modo consapevole e strumentale per raggiungere scopi politici”.
Per spiegare cosa accade in Palestina, la studiosa ha citato il report “Appropriating the past”, frutto di quattro anni di lavoro sul campo di due ONG israeliane: Emek Shaveh, che si occupa di politicizzazione del patrimonio culturale, e Yesh Din, che si occupa di diritti umani. Il report spiega nel dettaglio cosa succede in Israele nello specifico nei territori della Palestina occupata, quindi fuori dai conflitti dello Stato di Israele e in particolare nell'Area C della Cisgiordania.
Cosa fa e cosa non fa Israele
Per riassumere, cosa fa Israele? Anche se in teoria, in qualità di riconosciuta potenza occupante, dovrebbe impegnarsi a proteggere il patrimonio storico artistico Palestinese e non dovrebbe spostarlo oppure effettuare scavi (se non in casi di estrema necessità), di fatto Israele ha un rappresentante nei territori occupati che gestisce il patrimonio culturale palestinese e in particolare quello archeologico.
L'ufficiale di Stato per l'archeologia “gestisce tutte le questioni relative all'archeologia e alle antichità in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, facendo capo all’Unità archeologica dell'amministrazione civile, che è il corpo militare israeliano fondato nel 1981 che è deputato alla gestione delle questioni non militari nei territori della Palestina occupata. Quindi questo ufficiale agisce per conto dell'amministrazione civile in Cisgiordania e a Gaza”, ha riferito Corona Demurtas.
“L’ufficiale è responsabile della valutazione di impatto delle costruzioni sui siti archeologici, è responsabile dell'approvazione delle iniziative edilizie in generale, quindi concede licenze di scavo, supervisiona i reperti archeologici e ovviamente ha la responsabilità di preservare e proteggere i reperti. E poi esegue direttamente la maggior parte degli scavi attraverso gli archeologi che sono alle sue dipendenze. Non solo: l'ufficiale di Stato l’archeologia decide quali risultati di scavo devono essere pubblicati attraverso l'ufficio pubblicazioni”.
A livello scientifico, tutto ciò comporta innanzitutto una inattendibilità delle pubblicazioni di archeologia che arrivano da Israele. In particolare perché “queste pubblicazioni sono mirate in larga parte alle legittimare, per mezzo dell'archeologia, l'esistenza di un etno-stato ebraico in quelle terre e anche la sua espansione nel resto della Palestina”.
Il funzionario israeliano decide quali dati si tengono e quali si buttano. Quanta documentazione produrre. A quali dati fornire risalto per fare in modo che vi sia aderenza con il racconto biblico.
Lo scavo
Lo scavo archeologico è un'attività distruttiva: per questo, per ogni campagna, si producono enormi quantità di documentazione, dai disegni alle foto, dalle schede che descrivono lo strato scavato, ai sacchetti dei reperti, lavati e catalogati, ai diari di scavo. Questi dati servono per realizzare le pubblicazioni, ma servono anche ai posteri, agli archeologi che vengono dopo, per riesaminare la documentazione ed eventualmente proporre nuove interpretazioni alla luce delle nuove tecnologie disponibili.
Immagina di perdere tutti i dati di uno scavo. O di non averli MAI avuti a disposizione.
C’è una forte manipolazione, quindi, legittimata spesso dalla presenza di studiosi di atenei internazionali, che magari controfirmano gli articoli scientifici.
L’esempio dell’Erodion è interessante in questo senso.
“È significativo che l'attuale ministro della cultura del governo di Netanyahu dica che Israele dovrebbe annettere la Cisgiordania perché quella è l'antica casa del popolo ebraico”, afferma Sara. “Anche un report dei capi missione dell'Unione europea a Gerusalemme, che si può leggere sul sito del Guardian e che è stato reso pubblico nel 2018, afferma che Israele usa l'archeologia per costruire dei legami tra gli israeliani e i territori della Palestina occupata tagliando invece i legami storico culturali della popolazione locale e dei palestinesi in queste terre, nonostante le centinaia di anni di vita nel luogo. A questo proposito in particolare è importantissimo il ruolo dell'archeologia nel controllo fisico del territorio da parte di Israele.”
Cosa può fare la comunità accademica internazionale
Per Corona Demurtas, la comunità accademica deve prendere una posizione chiara, in particolare in questo momento storico. “Innanzitutto può - anzi deve - tagliare tutti i legami di collaborazione con le università israeliane. Questo vuol dire anche che i singoli archeologi e le singole università devono rifiutarsi di partecipare a scavi in Cisgiordania o in Israele perché tutti questi scavi partecipano alla pulizia etnica dei palestinesi, perché concorrono a legittimare politicamente Israele in particolare grazie alla presenza di ricercatori internazionali”.
Nelle università italiane si continua a discutere sull’opportunità di sospendere gli accordi di ricerca con gli atenei israeliani. A Milano, per esempio, nel novembre 2023 sono stati 190 su 2000 i docenti e i ricercatori della Statale che hanno sottoscritto l'appello nazionale sia per il cessate il fuoco permanente, sia per sospendere le attività con due atenei israeliani. L’appello nazionale è stato attualmente firmato da 4700 accademici. Allo stesso tempo, un altro appello comparso su Change.org e firmato da oltre 7000 accademici, si schiera invece contro il boicottaggio, etichettandolo sostanzialmente come un atto antisemita.
Link per approfondire
Report “Appropriating the past”, che descrive in che modo agisce Israele nei confronti del patrimonio culturale palestinese;
Report “Selective conservation: policy and funding for minority heritage sites in Israel”, che illustra le differenze di trattamento, da parte delle autorità israeliane, tra siti ebraici e non ebraici;
Articoli: Israel using tourism to legitimise settlements, says EU report e Rapporto UE: Israele usa il turismo per legittimare le colonie in cui si spiega come Israele utilizzi il turismo per modificare la narrazione che riguarda il popolamento della Palestina. Visto che nel secondo articolo è citato, segnalo anche il rapporto Ohchr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani) sulle compagnie che fanno affari in Cisgiordania violando il diritto internazionale;
Sito: Appello università italiane è l'appello da parte della comunità accademica e dei centri di ricerca per chiedere l'immediato cessate il fuoco a Gaza, il rispetto del diritto internazionale e l'interruzione delle collaborazioni con le università e gli enti di ricerca israeliani. Un boicottaggio mirato, volto a depotenziare la narrazione sionista che si struttura anche su collaborazioni internazionali e pubblicazioni scientifiche.
Da leggere
Ti suggerisco la lettura di un testo molto scorrevole dello storico israeliano ora docente a Exeter, nel Regno Unito, Ilan Pappé. Si intitola “10 miti su Israele” e smonta, pezzo per pezzo, l’ideologia sionista, ricollocando la Palestina degli ultimi secoli nel suo contesto Mediterraneo, illustrando l’origine cristiana protestante del sionismo (!), e infine mostrando i lati oscuri di quella che (non) è l’unica democrazia del Medio Oriente.
Ilan Pappé
10 miti su israele
Edizioni Tamu, 2017
Euro 16
Da ascoltare
Per approfondire il tema dell’uso politico dell’archeologia, ti suggerisco l'ascolto di un paio di puntate dei podcast di Andrea Augenti, docente di Storia medievale all’Università di Bologna e storica voce di Radio Rai.
Tra le puntate di Dalla terra alla storia, ti segnalo la numero 7 del 2020, Al servizio del regime: archeologia e politica: si parla dello sfruttamento dei reperti archeologici da parte delle dittature, per rafforzare per l’appunto la propaganda. Augenti parte dalla Germania nazista, passa per l’Italia fascista, fino ad arrivare in Medio Oriente.
Ti consiglio anche di ascoltare la puntata 10 di Mappe del tempo, altro podcast di Augenti. Si intitola Archeologia coloniale e anche qui riprende il tema dell’uso politico e propagandistico dell’archeologia nei regimi dittatoriali, facendo alcuni esempi concreti di ritrovamenti utilizzati a scopo ideologico.
Ora hai molti elementi per farti un’opinione sull’argomento. Ti invito a riflettere su un ultimo punto: quanto può essere libera la ricerca, se uno Stato occupante non solo non rispetta i diritti internazionali dello stato occupato, ma ha il potere di manipolare ogni dato scientifico prodotto?
Concordo col fatto che l’archeologia venga usata in alcuni contesti geografici per avallare politiche espansionistiche. Ed è indubbio che i massicci bombardamenti israeliani su ospedali e altri edifici civili a Gaza siano dei crimini di guerra.
D’altro canto, nella narrazione del conflitto Israelo-palestinese, emerge dalle parole di Chiara Boracchi un pregiudizio ideologico che contrasta col modus operandi della giornalista votata a descrivere la realtà con precisione, in tutte le sue sfaccettature. Nel momento in cui si minimizza la portata devastante dell’attacco di Hamas del 7ottobre, mettendo in relazione le “poche centinaia di israeliani” con le “migliaia di civili che vivono a Gaza”, appare chiara la scelta di campo di Boracchi che, in sintesi, esprime la sua pietas solo nei confronti delle vittime palestinesi . Sicuramente il buon giornalismo percorre altre strade, fa risuonare in egual misura tutte le voci. Ad esempio, una osservatrice lucida dovrebbe dire che Hamas e i Paesi che lo sostengono (Iran, Turchia, Siria, Qatar, Arabia Saudita) sono tra le peggiori dittature al mondo. Basti ricordare che in Iran gli oppositori e le oppositrici del regime vengono impiccati, a Gaza sono gettati nel vuoto dai piani alti degli edifici, in Turchia si mettono in carcere i giornalisti e in Arabia Saudita li si fa a pezzi.
Una tesi che Chiara Boracchi e Sara Corona mettono giustamente in risalto è quella secondo cui l’archeologia costruisce ponti tra passato e presente, lo studio di antiche civiltà ci aiuta nella comprensione del nostro tempo. Così, tra le pagine di Plutarco, veniamo a sapere come i Romani si liberavano dei loro nemici. Cartagine, una potente colonia fenicia, rappresentava da tempo una seria minaccia alla sicurezza di Roma, così venne rasa al suolo. La ritrovata serenità fu sancita in Senato da Catone con la frase “Carthago delenda est”.