Marco Cappelli, vita da manager che divulga la storia romana
Quale imperatore gestirebbe al meglio le crisi di oggi? Come raccontare un periodo che può ancora insegnarci molto? Ne ho parlato con l'autore di Storia d'Italia e Le Guerre Incivili
Il primo ospite de L’orecchio di Dionisio è, oltre che un amico, una delle persone più belle che conosca. Parlo di Marco Cappelli, e se la storia antica è una delle tue passioni, non c’è bisogno che te lo presenti. In circa quattro anni, Marco, che fa il podcaster solo ‘di notte’ perché di giorno continua a lavorare come Senior marketing manager per una multinazionale americana, ha sbancato tutto quello che si poteva sbancare nella divulgazione del passato attraverso l’audio.
Storia d’Italia, il suo primo podcast che racconta la storia a partire dalla fine dell'impero romano seguendo la scansione cronologica degli eventi, supera oggi il milione di ascolti ed è tra i top podcast di storia italiani. Nel 2020, è stato il primo italiano a vincere il Best non-English podcast dei Discover podcast awards, uno dei più prestigiosi premi del podcasting mondiale. Nel 2021 ha scritto un libro per Solferino su come gli imperatori barbari abbiano salvato Roma. E dallo scorso 21 aprile è sulla piattaforma Storytel con il suo ultimo show, Le Guerre Incivili, prodotto da Rossella Pivanti e peraltro già campione di ascolti. Insomma, sì, lo confesso: volevo partire ‘col botto’.
Ci siamo sentiti telefonicamente poco prima dell’uscita del nuovo podcast, quando non sapevo ancora se avrei concretizzato l’idea di questo spazio e di questa ricerca. E abbiamo chiacchierato tantissimo più che della sua ultima fatica nello specifico, della sua vita da divulgatore e di quanto sia utile per capire l’attualità lo studio della storia Romana, passione che ci accomuna.
La prima cosa che gli chiedo è quanto tempo dedica al podcasting e quanto ne sottrae alla famiglia (un tema che mi è caro). Perché una passione come la sua, con un podcast settimanale, la curatela di blog e social, le dirette, un secondo podcast, adesso anche l’attività di scrittore, il tutto senza lasciare il lavoro a tempo pieno, richiede talento, ma anche tantissima dedizione e disciplina mentale. “Il podcasting occupa almeno una ventina di ore alla settimana, escludendo la parte social”, afferma. “Si tratta di una ingente mole di lavoro che mi prende praticamente tutto il tempo libero, tranne i weekend”.
Ma quando gli chiedo quale sia l’impatto su moglie e bambine (ne ha due), mi risponde che “sono contente tutte e tre. Mia moglie è sempre il mio primo test, legge tutto quello che scrivo. Le mie figlie sono orgogliose… E poi, racconto loro tutto quello che studio, prima di metterle a dormire. Sanno tutto di Stilicone o di Teodorico. Una cosa che ho notato, parlando con loro del podcast, è che non c'è una storia noiosa a prescindere. Esistono solo modi di rendere noiosa la Storia”. Mi fa l’esempio della guerra greco-gotica, non proprio la classica favola della buonanotte. Le sue figlie - pare - hanno apprezzato così tanto la battaglia di Tagina, coi personaggi di Totila e Narsete, che ne hanno fatto addirittura un fumetto e gliel'hanno regalato al compleanno. Adorabili.
Insomma, Cappelli ha trasmesso la passione per la storia Romana a tutta la famiglia. Del resto, mi dice, in una scala da uno a dieci, la sua voglia di fare il divulgatore a tempo pieno è undici, è la cosa che più lo rende felice. E chiosa: “Il podcast mi ha dato la possibilità di saltare sulle ultime carrozze di un treno che pensavo di aver perso”.
Col senno di poi, noi sappiamo che per lui, salire su quel convoglio è stata un’ottima mossa, che da podcaster lo ha anche catapultato nel mondo dell’editoria. Il suo libro, Per un pugno di barbari, è un ‘mattoncino’ di oltre 450 pagine. Uscito ormai un anno fa, è stato presentato al Festival del podcasting 2021. Il testo racconta degli anni di crisi dell’Impero Romano prima della Tetrarchia. “La parte che mi è piaciuta di più - mi confessa - è di sicuro quella che riguarda la moneta e l'inflazione. Leggendo una serie di paper e libri sull'argomento, mi sono divertito a ‘unire i puntini’ e a dare la mia interpretazione possibile. Ho sentito di fare quasi il lavoro dello storico, ed è stato molto divertente.” E bisogna dirlo: Cappelli, quando spiega la finanza antica, è un vero asso. Probabilmente perché l’economia è letteralmente il suo pane. Questo però non significa che ora il suo intento sia darsi alla ricerca. “Penso che servano competenza e studi relativi per farlo. Mai dire mai, prima o poi vorrei studiare Storia. Però io penso che ognuno abbia il suo ruolo: il mio è la divulgazione. Cerco di prendere gli studi degli esperti, spesso di difficile accesso al grande pubblico, e li rendo fruibili.”
E lo fa con metafore tratte dalla cultura pop e nerd, che vanno da Guerre Stellari alle serie TV, dal calcio, alla musica, alla politica di oggi, con un risultato davvero efficace. “La storia Romana è super pop!”, mi dice. “Mi ha aiutato un immaginario già costruito su cui si può giocare molto, oltre al fatto che molti appassionati e molti studiosi di storia e archeologia sono dei nerd come me, quindi so di ‘parlare ai convertiti’”. E io, che sulla mensola sopra la scrivania ho la foto dell’erma di Seneca conservata a Berlino di fianco alla statuetta di Hermione Granger non ho proprio potuto dargli torto. “In generale, il collegamento con la cultura pop serve a rendere più umani i personaggi considerati così distanti da noi.” Mi fa l’esempio di un post che ha dedicato all’imperatore Probo e che ha intitolato Una vita da mediano, come la canzone di Ligabue. “Come fai ad evocare una persona che magari si è ‘sbattuta’ per tutta la vita, ma non ha gli allori del grande imperatore? Un titolo così rende l’idea”. Sulle scelte di linguaggio di Cappelli, di sicuro pesa la sua esperienza lavorativa vissuta ‘di giorno’.
Gli faccio allora una domanda spinosa. Gli chiedo se la sua carica di marketing manager non sia in qualche modo ingombrante, se non generi pregiudizio rispetto al suo modo di narrare la storia da parte degli addetti ai lavori che, a volte, guardano un po’ in cagnesco chi del settore non è. “In realtà, sono commosso dall'affetto del mondo accademico, le persone ‘aperte’ sono la stragrande maggioranza. Chi ha dei pregiudizi c’è, ma sono pochi. Anche io ritengo che solamente chi ha studiato un argomento possa fare seriamente ricerca. Ma non sono d'accordo sulla divulgazione, che è in parte ricerca storica, sì, ma in parte è comunicazione. A uno storico non è richiesto di essere anche un bravo comunicatore, però può ‘usare’ chi sa come comunicare”.
E continua: “Forse è brutto da dire, ma conoscere il marketing mi ha sicuramente aiutato a pensare al podcast come a un ‘prodotto’ che come tutte le cose ha un suo ‘posizionamento’. Questo presuppone una linea editoriale, ovvero sapere chi sei, cosa fai e a chi ti rivolgi. È uno dei concetti basilari, senza i quali un progetto non può partire, a mio avviso”. Tanti pensano ‘farò un prodotto che parla a tutti in tutti i linguaggi possibili’, ma questo non è possibile. Non parla a nessuno in realtà, perché non è sufficientemente personalizzato”. Bisogna insomma scegliere bene non solo cosa dire, ma anche a chi dirlo, per far passare il proprio messaggio. E continua: “Io trovo che il marketing sia una cosa neutra, che può essere utilizzata per qualunque scopo senza che questo vada a sminuire o a volgarizzare in alcun modo il contenuto. Contenuto e marketing sono due cose diverse. Il contenuto è quello che mi piace ed è quello che creo. Non creo contenuti in base al marketing: è il marketing che, ricevuto il contenuto, deve decidere il modo migliore per comunicarlo”.
A questo punto la conversazione si è fatta seria e siamo passati all’attualità, vista però con gli occhi di chi sulla storia Romana ha riflettuto molto. Così gli ho domandato quale generale romano, imperatore o console avrebbe gestito al meglio gli ultimi tre anni che abbiamo vissuto, cioè la pandemia e questi primi mesi di conflitto in Ucraina, il tutto nel bel mezzo di una crisi climatica devastante in corso. “Su questo non ho il minimo dubbio”, mi ha risposto. “Diocleziano. Il fondatore della Tetrarchia era un quartiermastro dell'Impero Romano, un uomo della logistica, praticamente un generale Figliuolo all’ennesima potenza. Tutto il sistema di governo di Diocleziano si basa sul fatto di gestire bene la logistica dell'Impero, per permettere all'esercito e alla macchina statale di operare alla massima efficienza. Penso non sarebbe esistita persona migliore per organizzare la distribuzione dei vaccini o per emanare leggi e decreti per minimizzare i rischi o portare avanti la transizione ecologica. Ovviamente servirebbe un Diocleziano con la mentalità di oggi, non il Diocleziano di 1700 anni fa. Ma se fosse vissuto oggi, avrebbe avuto quella forma mentis per risolvere modernamente questi problemi, perché aveva una visione d’insieme e la capacità di prendere decisioni razionali, non basate sulle emozioni”.
E a proposito di attualità, il discorso cade poi sull’ultimo lavoro di Cappelli, Le guerre incivili, che parla della Guerra sociale, ovvero la guerra civile tra Roma e i confinanti popoli italici o ‘italiani’, come tiene a definirli l’autore. “Sono partito da una richiesta dei miei ascoltatori, che volevano tornassi indietro rispetto a Storia d’Italia e narrassi gli anni della Repubblica romana”, mi fa Marco. “Si tratta a tutti gli effetti della prima unificazione dell’Italia, inizialmente divisa in un sistema confederale su più livelli. Non un'unificazione coi confini geografici di oggi, ma comunque una presa di coscienza collettiva da parte dei popoli ‘italiani’”, continua. “Ho voluto parlarne perché, è vero, tutte le guerre sono distruttive, ma la tipologia delle guerre civili è la più distruttiva in assoluto, perché entrambe le perdite sono interne alla nazione. Quello di cui parlo è un momento storico in cui la politica si è già imbarbarita, in cui problema costituzionale viene risolto dagli eserciti. Questo è un punto di non ritorno per la Repubblica. Tutto quello che viene dopo, dal conflitto tra Mario e Silla in poi, è conseguenza di questi eventi”.
Torniamo sul tema ‘italiani’. “Nella letteratura straniera che parla di questo periodo, sono definiti ‘italians’, non italici. Noi facciamo una distinzione anche perché ci viene insegnato a scuola. Non sono tutti romani in quest’epoca. La storia Romana è più piccola dell’Italia fino alla guerra sociale, poi a un certo punto Roma e l’Italia coincidono e poi Roma diventa più grande dell’Italia, tutto l’Impero diventa Roma, ma l’Italia resta Italia, ha un’identità separata e diversa dal resto dell’Impero e questa riemerge quando le strutture politiche che tenevano insieme Roma crollano. C’è un’identità italiana che viene forgiata dalla conquista romana. E ho voluto raccontarla nel podcast”.
Prima di concludere la chiacchierata, gli chiedo di rivelarmi un segreto sulla sua attività di podcaster. Uno di quelli che Dionisio avrebbe origliato dalla sommità della sua grotta. È succosissimo. Ma se vuoi scoprirlo, dovrai cliccare qui.
Il consiglio del mese: Archeologos
“ArcheoLogos, il podcast che parla di archeologia a 360°, della sua storia e delle persone che l’hanno portata e tuttora la portano avanti”.
Questo si legge nella bio del profilo Instagram dedicato ad ArcheoLogos, il podcast ideato dal ventiquattrenne Daniele Moschetti.
Una bella intestazione, ottimi intenti, ma pochissime puntate. Moschetti è infatti un vulcano di idee, ma forse difetta di costanza. E lo dice una che ha lo stesso problema (quindi: solidarietà).
Un podcast, due versioni
Le ‘versioni’ di ArcheoLogos, o meglio, i modi in cui Moschetti ha approcciato il difficile problema della divulgazione dell'archeologia, sono due.
Nella prima stagione si raccontano le 'cose', i reperti, con uno stile narrativo e una bella voce che non guasta. Il linguaggio non è sempre semplice: l'autore ogni tanto indugia nella terminologia tecnica, forse per paura della banalizzazione.
La stagione si chiude dopo cinque puntate.
Passa del tempo, l'autore fa un restyling grafico della copertina e finalmente pubblica la prima puntata della nuova stagione.
Il GR che non c’era
Al momento, la seconda stagione di ArcheoLogos conta una sola puntata, quella che puoi ascoltare nel player che trovi qui. E secondo me è una gran bella idea: una sorta di giornale radio dedicato solo e soltanto alle novità del mondo dell'archeologia, con un minimo di approfondimento. Il podcast ha ritmo, Moschetti ha un bel piglio, è piacevole da ascoltare. Dura pochi minuti, sul modello dei Daily più ascoltati. Insomma, è un'idea da sviluppare, che potrebbe anche dare una discreta visibilità all'autore.
Il punto è sempre quello: la costanza, indispensabile per realizzare un giornale radio, anche solo una volta la settimana.
Moschetti, come ti capisco. Ma non mollare, dai.
Chissà che non serva solo una “spintarella”.
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