Cancellare la memoria
Quello che accade in guerra, con la distruzione dei beni culturali di un popolo, è la perdita di una parte della memoria dell'umanità. Nella newsletter di oggi, una riflessione ampia e consigli
Il vocabolario Zingarelli dà tre significati del verbo "Cancellàre": 1) rendere illeggibile ciò che è scritto o disegnato mediante segni, freghi o simili; 2) annullare; 3) chiudere con un cancello. La newsletter di oggi, destinata in larga parte ancora alla Palestina per approfondire quel che accade dall'altra parte del Mediterraneo, ha a che fare letteralmente o in maniera figurata con tutti e tre questi significati.
Parliamo di circa due milioni di persone separate fisicamente dal resto del mondo più che da un cancello, da un muro che rappresenta sia un confine sia i limiti di una prigione. Parliamo di bombe che hanno lo scopo di uccidere, certo, ma anche di rendere illeggibili le tracce del passato, come musei, antiche moschee, siti archeologici e culturali; e poi parliamo di annullamento della memoria, non solo quella di chi abita a Gaza, ma soprattutto la nostra di occidentali. Con la distruzione dei beni culturali di Gaza si tenta di cancellare quella a lungo termine, ovvero una parte molto importante della storia intera della Palestina. Mentre con la manipolazione dell'informazione si cerca invece di cancellare la memoria a breve termine di chi guarda la televisione, ascolta la radio, frequenta il web ma non ha interesse ad approfondire la questione mediorientale per conto suo.
Due settimane difficili
Le due settimane (e poco più) che separano questo numero della newsletter dal precedente podcast sono state dense di avvenimenti oltre che nella Striscia, anche qui. Un elenco breve di ciò che sta accadendo nel nostro Paese, giusto per fornire un minimo di contesto:
9-10-11 febbraio: i cantanti Ghali e Dargen D'Amico hanno fatto appelli dai palchi di Sanremo e Domenica In per un cessate il fuoco e uno stop al genocidio (senza mai nominare la Palestina);
11 febbraio: il presidente della Rai Roberto Sergio, dopo questi appelli, ha emanato un comunicato letto da Mara Venier, in cui ha ribadito la vicinanza della televisione pubblica italiana a Israele;
12-18 febbraio: centinaia di persone, indignate dal tentativo di cancellare gli interventi di Ghali e Dargen, hanno protestato sotto le sedi Rai di diverse città italiane. In alcune città si sono verificati degli scontri con la polizia;
23 febbraio: la violenza è stata ripresa sia dai social, che a livello mediatico. Si sono quindi moltiplicate le manifestazioni spontanee a sostegno dei manifestanti E della Palestina. A Pisa, degli studenti in corteo contro il genocidio sono stati caricati dalla celere;
24 febbraio: si è svolta a Milano la seconda manifestazione nazionale per chiedere un cessate il fuoco. Sono state migliaia le persone scese in piazza pacificamente da tutta Italia (si discute ancora se fossero 15mila, 20mila o 50mila), ma la copertura mediatica generalista si è concentrata soprattutto su una decina di facinorosi che hanno assaltato un supermercato.
Anche scegliere con cura cosa non riferire o quali parole usare, a ben vedere, è un tentativo di cancellazione.
Tenere vive le memorie
A tenere viva la memoria a breve termine di quel che accade nella Striscia ci sono i giornalisti gazawi, che pubblicano prevalentemente su Instagram, le agenzie internazionali, come l'Agenzia ONU per il soccorso e l'occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente (UNRWA) o Euromed rights monitor, ma anche le agenzie di stampa e le testate mediorientali, come Al Jazeera o Middle East eye.
E con la memoria a lungo termine come si fa? Cosa succede, quando i segni del passato di un popolo rischiano di venire cancellati e distrutti per sempre? E perché è importante occuparsi anche di questo aspetto, nonostante sia secondario rispetto alle persone uccise brutalmente? È qui che interviene l'esperienza del mio intervistato, Giancarlo Garna, archeologo professionista, ricercatore indipendente, esperto di salvaguardia del patrimonio culturale in zone di conflitto e traffico illegale di beni culturali. Lo dico subito: Garna non è un podcaster, ma è uno che, per il suo lavoro, ha rilasciato tante interviste, anche partecipando a diversi podcast.
Se hai già ascoltato la sua intervista, puoi saltare direttamente alla parte finale della newsletter, con link di approfondimento e consigli.
Perché i beni culturali sono sotto attacco?
Facciamo un passo indietro: il patrimonio culturale, soprattutto negli ultimi vent’anni, è stato assolutamente centrale nei conflitti, nonostante la Convenzione dell’Aja del 1954 in teoria lo tuteli. E allora, perché viene preso di mira? Mi ha spiegato Garna che gli scopi sono tre: primo “è un modo per colpire l'immaginario collettivo e per terrorizzare nell’intimo la popolazione”. Secondo, perché “spesso sono danni collaterali: colpendo i centri storici non si va più a guardare il monumento in sé - cosa peraltro già avvenuta Seconda guerra mondiale”. E terzo: perché si vuole “cancellare la storia, la memoria e l'identità delle persone e dei popoli che vengono colpiti. Maestro di questo atteggiamento è stato sicuramente il sedicente stato islamico, ovvero l’Isis, che ha molto ben utilizzato la distruzione del patrimonio culturale. Non è una cosa nuova”, continua. “Si faceva anche in antico: per esempio Ittiti e i Mesopotamici rubavano le statue delle divinità delle città conquistate e le portavano via: è un modo di dispossessare e alienare la mente, lo spirito delle persone. Come si cancella un popolo? Si cancella la sua cultura. Ecco quindi che colpire durante i conflitti i monumenti e il patrimonio culturale, non soltanto quello materiale, ma anche quello immateriale, diventa perfetto per potersi assicurare poi una vittoria più completa, anche a livello di propaganda. Perché alla fine entriamo nel vero meccanismo della guerra e cioè la propaganda: la prima vittima della guerra - ricordo sempre - è la verità.”
Con patrimonio immateriale si intende la produzione culturale, come la musica, l'artigianato, il sapere delle persone che vengono colpite e uccise. A mo' di esempio, il professore ricorda che durante l'operazione Anfal del 1986-1989, una missione dell’esercito iracheno di Saddam Hussein che portò al gravissimo episodio col gas nervino di Halabja, vennero distrutti 1200 villaggi Kurdi. Erano quasi tutti i villaggi di montagna, dove esistevano un artigianato tradizionale e conoscenze legate alla coltivazione della montagna. "Se si va nel Kurdistan attuale, del nord in Iraq, nelle città come Dahuck o Erbil, questi aspetti sono quasi completamente cancellati. Si è perso un sapere mentale e spirituale di conoscenze che invece era patrimonio di queste persone. Questa è una perdita storica, di identità culturale di tutta l'umanità"
Cosa si fa dopo: rattoppare la memoria
Recuperare quel che rappresenta la memoria collettiva, dopo un conflitto, non è facile. Gli elementi architettonici, ma anche gli oggetti di grandi dimensioni, che non possono essere saccheggiati e che non vengono immessi sul mercato illegale, restano sul terreno e in casi fortunati vengono restaurati. "Si cerca di ridare loro dignità: è il caso delle moschee e dei musei di Mosul, in Iraq", racconta il professore. "Credo che si debba intervenire soprattutto sulla mentalità delle persone, che devono vedere in quei beni qualcosa di importante della propria storia e della propria dignità, e non semplicemente delle pietre. Dopo aver ripristinato le condizioni di abitabilità, bisogna creare un'atmosfera culturale. Documentare le distruzioni, documentare l'esistenza dei monumenti, tutelarli, coinvolgere le comunità locali nella loro difesa o nella loro valorizzazione è sicuramente una buona pratica per poter poi ritornare a far sì che gli stessi abitanti possano fruire di questi elementi culturali".
Cosa accade nella Striscia
Queste operazioni di avvicinamento al patrimonio, che sono a tutti gli effetti azioni di archeologia pubblica, si stavano svolgendo anche nella Striscia da ben prima dell'attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023.
"Nel 2012 il governo italiano ha fatto partire con l'Autorità nazionale palestinese un’operazione per preparare le forze di sicurezza locali a gestire il proprio territorio in previsione della costituzione dei due Stati", ha raccontato Garna. "Dal 2020 è entrato in gioco anche il Nucleo tutela patrimonio culturale dei Carabinieri, che in tema è il migliore al mondo in questo momento e addestra molte polizie mediorientali. Prima del 7 ottobre, aveva iniziato a preparare le forze palestinesi affinché difendessero e tutelassero il loro territorio e il loro patrimonio storico archeologico, anche per impedire scavi clandestini, e appropriazioni anche indebite. Il precipitare degli eventi ha bloccato la missione, che è stata fatta rientrare già il 14 di ottobre."
Oggi la situazione di distruzione dei beni culturali a Gaza è in divenire. Secondo il Giornale dell’Arte, che riporta le informazioni dell'agenzia di stampa turca Anadolu, sarebbero ad oggi 200 i siti archeologici distrutti su 325 censiti in tutta la Striscia, compresi alcuni siti religiosi di grande rilevanza come la Moschea Omari, o la chiesa bizantina di Jabalia, ma anche i musei di Al-Qarara e Rafah. I dati di Euromed Human Rights monitor segnalano 199 siti archeologici distrutti e oltre 600 tra moschee e chiese.
È impossibile non domandarsi se non ci sia il rischio concreto di genocidio culturale.
Genocidio culturale:
è la distruzione deliberata dell'eredità culturale di una popolazione o di una nazione per ragioni politiche, militari, religiose, ideologiche, etniche o razziali.
"Questo significa la cancellazione totale della memoria", continua l'archeologo. "In questo momento non si sta procedendo alla distruzione generale della cultura palestinese, perché la Cisgiordania e le comunità palestinesi in Libano e in Giordania mantengono per ora la loro memoria. Certo ci stiamo andando molto vicino".
Un altro rischio è la dispersione del patrimonio materiale attraverso le vendite illegali. "La legislazione israeliana per quanto riguarda il commercio dei beni culturali è sempre stata molto liberal. In passato, gli israeliani hanno venduto moltissimi oggetti o hanno fatto da mediatori verso operazioni piuttosto spregiudicate che hanno portato ad alcuni scandali. Uno di questi è scandalo del 2017 negli Stati Uniti, dove la famiglia Green, titolare di Hobby Lobby (una società di vendita al dettaglio) e finanziatrice del Museo della Bibbia di Washington, ha dovuto restituire in tutto 11.500 oggetti tra cui ben 3500 tavolette comprate negli Emirati Arabi tramite la mediazione di antiquari israeliani. Nel 2016 la Knesset (ovvero il parlamento israeliano) ha bloccato le importazioni ufficiali da Siria e Iraq. Per sapere se i beni dei musei palestinesi sono stati saccheggiati, bisognerà monitorare sia i commercianti israeliani, sia quelli europei, nei prossimi anni”.
Evitare di perdere la memoria
Per evitare l'ennesima grave perdita di memoria dell'umanità, anche noi possiamo fare molto. "Divulgare, informare, non cadere nella trappola della differenza di cultura, perché la cultura è anzi l’esito più positivo della mescolanza", ha detto Garna. "Sia la cultura palestinese, sia la cultura ebraica della zona israeliana, hanno radici storiche simili e hanno spesso archeologicamente parlando anche molti punti comuni. Noi cittadini non dobbiamo fare i tifosi. Dobbiamo essere consapevoli, informarci, denunciare e avere il coraggio di dire che alcune azioni sono devastanti e da condannare, ma anche che determinate reazioni sono da condannare allo stesso modo perché eccessive. La comunità internazionale può chiedere il cessate il fuoco, che serve soprattutto a salvare la vita delle persone. E dopo monitorare anche l'aspetto culturale, inviare esperti che possano contribuire alla documentazione e preparare le persone al lavoro della ricostruzione e del salvataggio di quello che è rimasto”. E aggiungo: la vita delle persone che rimangono si salva anche restituendo loro una storia e un’identità. Cancellare la cultura di un popolo significa cancellarlo dalla Storia. Riusciamo a immaginare qualcosa di più terribile?
“La cosa più importante che dovremmo fare tutti è rimanere umani” conclude Garna. Credo che talvolta sfugga di mano il vero focus che anche i monumenti ci dicono, cioè la centralità dell'essere umano in quanto tale, in quanto persona, non perché di una cittadinanza di una religione o di una razza, ma perché membro di una collettività che ha una storia comune alle spalle. È fondamentale rimanere umani, avere un occhio critico anche di fronte a decine di migliaia di morti, che ovviamente fanno pensare”.
Da ascoltare
Sul tema della distruzione dei beni culturali in guerra, ti ho già suggerito A fari spenti, il podcast di Francesco Oggiano prodotto da Chora sulle persone che hanno rischiato la propria vita per salvare il patrimonio artistico durante la seconda guerra mondiale.
Sul valore dell'arte, sulla protezione e distruzione del patrimonio artistico sono al centro anche di un altro podcast, Arte da proteggere, di Intesa Sanpaolo On Air (quindi è un branded podcast). Si tratta anche in questo caso di un podcast narrativo, a una sola voce, che esprime un concetto interessante, ovvero che a volte "la distruzione nasce semplicemente dalla perdita della memoria del valore delle cose". Per il tema della newsletter è forse più interessante la prima stagione, ma vale la pena di ascoltare anche la seconda.
Da leggere
Il patrimonio millenario di Gaza cancellato dalle bombe è un articolo di Left, firmato da Alessandra Mecozzi, presidente di Palestina cultura e libertà, che fa il punto non solo sui beni culturali distrutti, ma anche sui luoghi della produzione della cultura, le università, i teatri, le scuole e inoltre sul capitale culturale umano ormai perduto.
Sul patrimonio immateriale e sul capitale umano di artisti e letterati, segnalo anche un articolo del The New Arab, tradotto da Invicta Palestina, che parla apertamente di genocidio culturale. L'articolo si intitola Genocidio culturale: Israele ha spazzato via una generazione d’oro di artisti, musicisti, attori e scrittori di Gaza.
Il quotidiano francese Le Figaro, già il 29 dicembre scorso, faceva l'elenco dei più significativi siti storici e beni culturali colpiti dalle bombe israeliane in un pezzo dal titolo Mosquées, églises, musées... Le patrimoine culturel de Gaza ravagé par le conflit israélo-palestinien.
Infine, il sito Librarians with Palestine propone un elenco di archivi, biblioteche e musei danneggiati dalla guerra, con link a diversi report e articoli per approfondire ulteriormente. Il pezzo è aggiornato al 1° febbraio.
Cercherò di far passare meno tempo tra questa e la prossima newsletter. Non ho intenzione di abbandonare i temi importanti, ma voglio anche riprendere con le recensioni e le interviste ai podcaster. A presto!